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Che acqua esce dai rubinetti?

L’acqua è una risorsa preziosa, un bene essenziale per la nostra esistenza: la beviamo, la utilizziamo per cucinare, per lavare ciò che ci sta attorno e noi stessi. Nel nostro immaginario collettivo viene associata all’idea di purezza, freschezza, è un simbolo stesso di vita ed è di tutta evidenza l’importanza che quella utilizzata quotidianamente sia priva di rischi e in ogni senso salubre.

Ma siamo veramente sicuri che quella che esce fuori dai nostri rubinetti lo sia?

Ogni considerazione su questo punto non potrà non prescindere dalla constatazione, leggendo interventi sul tema, che una risposta a questo semplice interrogativo porta inevitabilmente a interventi di parte, giustificati dagli interessi in gioco ma anche e soprattutto dai rispettivi ruoli di coloro che genericamente si sentono, sul preciso punto, chiamati in causa.

Gli acquedotti forniscono certamente un eccellente lavoro per rifornire tutta la popolazione di acqua potabile, per cui l’affermazione che quella che ci viene fornita è in generale molto controllata, essendo obbligata al rispetto di precisi e rigidi parametri di legge, è sicuramente esatta.

Per l’85% dei casi l’acqua viene attinta da zone sotterranee molto protette, con l’applicazione sistematica della normativa italiana ed europea e un controllo costante dato anche da milioni di analisi per valutare il suo stato rispetto a 50 parametri chimici e biologici. Per questo il Direttore del Reparto di Qualità dell’acqua e salute dell’Istituto Superiore di Sanità ha affermato recentemente la conformità in più del 99% dei casi, giustificando la piccola quota residua con casi di criticità prettamente locali (che sfuggono a controlli in quanto legate a nuovi parametri) e con “la presenza di elementi chimici, come l’arsenico, naturalmente contenuti nella falda acquifera e legati alle caratteristiche del nostro territorio, ad esempio all’origine vulcanica di alcuni suoli” ed evidenziando come questi (concentrati prevalentemente nel Lazio e, in misura inferiore, in Toscana) non costituiscano un rischio diretto per la salute, ma siano esclusivamente indicatori comunque da tenere periodicamente monitorati.

Alla luce di questo, appaiono ora in parte eccessivi gli allarmismi scaturiti circa una decina d’anni fa (2008) dagli esiti di una lunga serie di analisi condotte dall’Università di Napoli su campioni di acque prelevate dai rubinetti di 50 diverse città italiane di 17 regioni differenti: secondo questi, la contaminazione oltre alla soglia stabilita si presentava in circa un quarto di casi ed era dovuta a quantità batterica, peraltro non eliminata da una clorazione ritenuta in molti casi eccessiva, vista la presenza in molti casi di relativi sottoprodotti chimici. “Criticità igienico-sanita­ria nelle abitazioni, dovuti soprattutto alla presenza di contaminanti di natura chimica (composti organo alogenati e trialometani) e microbiologica” si diceva allora, accennando a una probabile scarsa manutenzione delle tubature o dei serbatoi privati, chiamando in causa, oltre agli acquedotti (responsabili della disinfezione fino al con­tatore) anche gli amministratori dei condo­mini e i proprietari delle abitazioni, auspicando anche da parte di questi una maggiore richiesta di controlli periodici.

La situazione relativamente più tranquilla attuale non deve però mancare di considerare il fatto che in talune abitazioni l’acqua che esce dal rubinetto di casa contiene all’interno in certa misura tracce di sabbia o ruggine che disturbano reni e fegato e che agenti inquinanti possono essere presenti in buon numero, malgrado i dati risultanti siano contenuti entro i limiti fissati dalle leggi. Questo può avvenire per la revisione attuata dei parametri, per cui ciò che appare ora a norma non è detto lo sarebbe stato tempo fa.

La necessità di rendere più salubre l’acqua del rubinetto parte, oltre alle considerazioni appena esposte, anche dalla constatazione del fatto, anch’essa già accennata, che gli acquedotti utilizzano il cloro come battericida. Questo articolo non intende dilungarsi su questo punto, limitandosi a riaffermare quanto già in un numero precedente di MAG era stato evidenziato, e cioè il dibattito riguardante i rischi per la salute correlati all’uso del cloro e il dibattito scientifico sul suo effetto cancerogeno e pericoloso per la salute.

Certamente è da segnalare come una larga parte della popolazione abbia preso coscienza dei rischi connessi a ogni tipo di inquinamento e, talvolta mutando le proprie abitudini, abbia inserito comportamenti miranti alla riduzione dei rischi relativi in molte abitudini.

Il dato che assegna all’Italia il terzo posto al mondo, dopo Messico e Thailandia, per consumo di acqua in bottiglia, è sintomatico della presa di coscienza, delle precauzioni osservate e sostanzialmente della sfiducia relativa alle rassicurazioni periodicamente offerte da aziende e Asl all’interno della rete di controllo. D’altra parte, quella riguardante l’inquinamento e le alterazioni dell’acqua è stata già individuata come una delle minacce domestiche più temute dagli italiani (al 56% nel sondaggio di Sara Assicurazioni del 2017) per cui lo scetticismo si può ragionevolmente ritenere connesso alla crescente sensibilizzazione sul tema.

Una ricerca realizzata da Lifegate in collaborazione con l’Istituto di Eumetra MR e Culligan ha affermato (2018) che il 67% degli italiani compra acqua in bottiglia. Secondo questo sondaggio il 47% giustifica la scelta con una “percezione di maggiore sicurezza”, il 20% con la maggior comodità e il 16% con il miglior gusto. Quella del rubinetto depurata è preferita dal 27% del campione intervistato e bevuta perché sicura (40%), per la salute (16%) e per avere un minore impatto sull’ambiente (10%), mentre si assesta al 18% la percentuale di coloro che bevono quella del rubinetto senza procedere a una forma di depurazione.

Il sondaggio quantifica poi nel 68% la percentuale di coloro disposti ad abbandonare l’acqua in bottiglia per passare a quella del rubinetto, a patto di avere maggiori e più precise garanzie di qualità.

Tutto appare perfettamente capibile: l’acqua che fuoriesce dal rubinetto è mediamente a buoni livelli rispetto ai parametri esaminati per affermare la potabilità ma, al tempo stesso, appare percepita ancora non ideale per essere bevuta da una popolazione che sta sensibilizzando in misura sempre maggiore nei confronti di temi connessi all’inquinamento e la sicurezza ambientale.

Ciò che risulta ancora poco capibile, o perlomeno necessita di una certa messa a fuoco, è il rapporto tra questa sensibilizzazione e l’allarme lanciato da molte fonti all’opinione pubblica riguardo la presenza di microplastiche negli oceani, nei mari, nelle acque dolci, nel suolo e nell’aria e i milioni di tonnellate di bottiglie di plastica che ogni anno finiscono nel mare. Da questo punto di vista il terzo posto italiano nel consumo di acqua in bottiglia assume una diversa valenza e chiave di lettura.

Il sasso lanciato ora verrà sicuramente ripresa in uno dei prossimi numeri di MAG, perché è proprio sulla plastica, in merito alla non biodegrabilità e compostabilità, che con molte probabilità si giocheranno gran parte delle battaglie ambientali dei prossimi anni.


Redazione MAG


MAG nr.4, luglio-agosto 2019

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