Opportunità per enti locali
Continuiamo il nostro viaggio per conoscere alcune tra le opportunità, sia a livello nazionale che comunitarie, di cui possono beneficiare enti locali, soggetti pubblici, privati, imprese e sistemi locali, con un occhio di particolare riguardo a progettualità che hanno come obiettivo lo sviluppo di territori e comunità.
Nel dibattito politico in corso risulta sempre più attuale il tema del contenimento della spesa pubblica e la parallela esigenza di rendere possibili standard sempre più elevati, con riferimento ai servizi sul territorio, a fronte di contesti socioeconomici sempre più dinamici, internazionali, complessi e integrati.
Ciò porta alla necessità, sempre più urgente, di identificare modelli efficaci per pianificare e attuare politiche di sviluppo locale innovative e strategiche.
In varie parti del territorio nazionale è possibile registrare pratiche e sperimentazioni relative a nuove formule aggregative sia istituzionali che pubblico-private e sempre più ci si indirizza a riconoscere nella variabile “territorio” il plus, l’elemento distintivo, il valore aggiunto di strategie di sviluppo locale efficaci.
L’attuale impianto europeo (oggetto di numerosi Trattati, ampi ripensamenti politici, riassetti istituzionali e geografici, oltre che di diverse visioni strategiche) è incentrato sulla necessità condivisa di costruire un Europa che la Strategia Europa 2020 definisce sinteticamente “intelligente, sostenibile e inclusiva”.
A livello comunitario si è via via imposto, nel tempo, un approccio definito “bottom up”, ossia un modello in cui sono gli operatori locali a dover definire le proprie strategie e traiettorie di sviluppo, preferibilmente in partnership pubblico-private.
Come già abbiamo avuto modo di sottolineare qui, parlando del Fondo Europeo di sviluppo regionale (FERS), fin dall’avvio delle politiche di sviluppo regionale proprio le regioni, in Italia, si sono dimostrate molto attive nella capacità di sperimentare diverse soluzioni di governance.
Fin dagli anni ’90 sono stati introdotti modelli di governance riconducibili alle innovazioni introdotte dalla Legge 142/90, (legge di riforma delle autonomie locali), che affidava alle Regioni la possibilità di ridisegnare le circoscrizioni comunali e di introdurre le Unioni di Comuni, argomento poi ripreso da numerose regioni che introducevano nuove norme in materia di variazioni provinciali e regionali, anche se molte delle innovazioni previste da tali strumenti legislativi richiederanno un decennio per essere recepite e, tra queste, l’avvio delle prime Unioni tra Comuni.
A questa prima fase di sperimentazione, seguì un processo di maturazione territoriale che portò a riconoscere l’importanza del confronto con la componente privata-imprenditoriale nei diversi territori di riferimento.
In diverse aree italiane, molte delle quali oggetto di politiche di sviluppo comunitarie, tra cui quelle connesse al Programma comunitario di Sviluppo Rurale LEADER, prendono avvio gruppi di azione locale e partenariati pubblico-privati, proprio per favorire l’attuazione di politiche di sviluppo locale, oltre ad altre forme di governance istituzionali quali Patti Territoriali e Intese Programmatiche d’Area.
Proprio all’attuazione della legge 192 del 1990 e del Programma Comunitario Leader in Italia possono ricondursi numerose sperimentazioni e modelli che hanno portato alcuni territori a essere considerati avanguardia per la ricerca di nuove forme di governo del territorio su area vasta, oltre che oggetto di casi studio a livello europeo.
Dal punto di vista normativo, il trasferimento dallo Stato alle Regioni della competenza in materia di Patti Territoriali ha avuto luogo a seguito degli articoli 18 e 19 del DL 31 marzo 1998, n. 112. Le successive fasi di “regionalizzazione” degli strumenti della programmazione negoziata sono state stabilite con alcune delibere CIPE (n. 14 del 15.2.2000, n. 31 del 17.3.2000 e n. 26 del 25.7.2003) e dall’accordo in sede di Conferenza Unificata Stato, Regioni, Città e Autonomie locali.
Anche le Intese Programmatiche d’Area costituiscono un esempio di programmazione regionale decentrata, caratterizzato da un approccio “bottom up”, che presuppone l’esistenza di un partenariato locale e di una concertazione tra componente pubblico-istituzionale e privata del territorio.
Modelli di strategie di sviluppo locale fondate su sistemi di governance istituzionale e di partenariati pubblico-privato, strutturati nell’ottica di complementarietà e integrazione con fondi europei, si trovano, attualmente, anche nell’ambito di alcuni Pon Metro (Programma Operativo Città Metropolitane 2014-2020).
Il Pon Metro interessa tutto il territorio nazionale e attinge al contributo comunitario proveniente dal FERS e dal FSE. Le città Metropolitane interessate sono: Torino, Genova, Bologna, Venezia, Firenze, Roma, Bari, Napoli, Reggio Calabria, Cagliari, Catania, Messina, Palermo. Il programma sostiene il coordinamento delle città metropolitane italiane nelle azioni volte al miglioramento qualitativo e all’efficienza dei servizi urbani, con speciale riguardo alle fasce più svantaggiate della popolazione.
Il Pon Metro si inserisce nell’agenda urbana nazionale e di sviluppo urbano. Esso si concentra sull’agenda digitale metropolitana (smart city), sulla sostenibilità dei servizi pubblici e della mobilità, sui servizi ed infrastrutture per l’inclusione sociale e sull’assistenza tecnica. In linea con gli obiettivi dei fondi strutturali da cui riceve le risorse, punta inoltre al miglioramento dell’efficienza energetica e delle condizioni abitative dei cittadini.
Il Pon Metro costituisce un’opportunità per l’avvio di percorsi innovativi di co-progettazione strategica, che consente di selezionare azioni di sviluppo territoriale integrato attraverso partenariati pubblico-privati, di concerto con le autorità di Gestione e le autorità urbane.
Possono beneficiare direttamente del Pon Metro Cluster nazionali, organismi scientifico-tecnologici pubblico- privati, amministrazioni pubbliche o loro società di scopo interamente pubbliche, enti del terzo settore, altri enti pubblici proprietari degli immobili, società di scopo responsabili della gestione del patrimonio pubblico per edilizia sociale, enti pubblici proprietari degli immobili oggetto di ristrutturazione. Risultano di certo chiare le interazioni indirette con tali soggetti, che riguardano il tessuto economico e imprenditoriale del territorio.
L’attuale assetto territoriale europeo rende imprescindibile la necessità di favorire la cooperazione tra territori. Ciò ha portato le istituzioni comunitarie, gli stati membri e loro aggregazioni macroregionali a fare della cooperazione un obiettivo della politica di coesione.
Centrale nell’attuazione di questo obiettivo, fin dalla programmazione 1991-1993, è stata l’iniziativa comunitaria Interreg, una delle poche iniziative rimaste (insieme all’iniziativa comunitaria Leader) della prima generazione di strumenti sperimentali per sostenere politiche di sviluppo territoriali.
Ma in cosa consiste la “cooperazione”? Tra chi si esplica, come e per raggiungere quali obiettivi? Giunte ad oltre 25 anni di sperimentazione, le politiche per favorire la cooperazione territoriale in Europa mantengono tutta la loro forza ed interesse anche nell’attuale periodo di programmazione 2014-20, ma al contempo (in un contesto sociopolitico che porta diversi stati membri ed importanti componenti dell’opinione pubblica a riflettere sul tema del confine, del rapporto comunitario-extracomunitario e della convenienza dello “stare in Europa” e che dal 2016 ha portato ad una prima inversione nel processo di allargamento ed integrazione dell’Unione, a seguito dell’esito del c.d. “Brexit”) necessitano ancora di una seria interpretazione e di un rilancio del loro stesso significato.
La cooperazione nasce innanzitutto per l’esigenza di favorire scambi di esperienze tra attori nazionali, regionali e locali dei diversi Stati membri e per portare gli attori di volta in volta determinanti nelle varie politiche settoriali, ad adottare iniziative congiunte su problemi condivisi.
In un contesto internazionale sempre più globalizzato ed interdipendente, le soluzioni comuni a problemi condivisi travalicano infatti i confini amministrativi nazionali o regionali e richiedono approcci su scale di volta in volta adeguate alla politica di riferimento, talora includendo territori costituiti da più regioni, in altri casi ambiti macroregionali internazionali, in altri ancora estesi a tutto il contesto europeo e oltre.
Per favorire la cooperazione territoriale europea (CTE) è stato quindi previsto uno specifico Regolamento (il Reg. n. 1299/2013), distinto da quello degli altri fondi strutturali (FEASR, FERS, FSE e FEAMP), tenuto conto del contesto plurinazionale dei diversi programmi, che individua in particolare tre tipologie di cooperazione: la cooperazione transfrontaliera, la cooperazione transnazionale e la cooperazione interregionale.
La Cooperazione transfrontaliera finanzia progetti fra regioni limitrofe per promuovere lo sviluppo regionale integrato fra regioni confinanti aventi frontiere marittime e/o terrestri in due o più Stati membri o fra regioni confinanti in almeno uno Stato membro e un Paese terzo sui confini esterni dell’Unione. Riguarda in sintesi le regioni e le amministrazioni locali sui due lati di un confine, sostenendo ad esempio progetti italo-sloveni, italo-croati o italo-austriaci; la cooperazione transnazionale riguarda invece territori transnazionali più estesi, come i Paesi dell’UE e le regioni mediterranee, adriatico-ioniche, dell’Europa centrale e alpine, che coinvolge partner nazionali, regionali e locali e comprende anche la cooperazione marittima transfrontaliera; infine la cooperazione interregionale promuove la condivisione delle migliori pratiche in materia di innovazione, efficienza energetica, sviluppo urbano e altri settori tra le regioni dei 28 Stati Membri (con i Programmi Urbact, Espon, Interact e Interreg Europe).
In particolare, in Europa nel periodo 2014/20 saranno complessivamente 60 i programmi di cooperazione transfrontaliera, 15 quelli di cooperazione transnazionale e 4 quelli di cooperazione interregionale.
Di particolare interesse, nel panorama della cooperazione territoriale, sono considerati i programmi transfrontalieri marittimi e lo specifico ambito territoriale del nordest italiano, frontiera che ha visto dapprima nel 1° maggio 2004 l’ingresso della Slovenia e dal 1° luglio 2013 quello della Croazia, oltre ad essere stato sensibile storicamente, culturalmente ed economicamente all’importante allargamento verso l’est Europeo avvenuto tra il 2004 (Estonia, Lettonia, Lituania, Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria) e il 2007 (Bulgaria). Si tratta di un’area che ha sempre saputo confrontarsi con il concetto di “confine”, marittimo o fluviale, di vicinanza con una regione a statuto speciale, aperto al turismo internazionale e abituato a relazionarsi commercialmente e culturalmente con l’Istria e la Dalmazia e, più in generale, con l’area mitteleuropea ambito dell’ex Comunità di lavoro Alpe Adria.
Attraverso tali progettualità si è intervenuti, nei vari territori, in diversi ambiti di cooperazione: dalla cooperazione legata a eventi culturali, a quella legata alla promozione e al marketing turistico, dalla collaborazione nell’approccio a politiche di tutela e valorizzazione ambientale, alla valorizzazione dei prodotti agroalimentari, dalla creazione di itinerari alla sperimentazione di soluzioni innovative nella formazione, nella comunicazione e nella governance.
Esempi di approccio allo sviluppo locale a partire da iniziative di cooperazione possono interessare l’intero territorio nazionale, anche attraverso la realizzazione di partenariati pubblico-privati, coinvolgendo anche il sistema delle imprese.
In sintesi:
Azioni di governance, intese in senso lato come leva per lo sviluppo locale, anche attraverso iniziative in-formative, messa in rete, analisi buone prassi, relazioni locali, interregionali e internazionali volte a favorire l’assimilazione del significato vero del processo di cooperazione, possono agevolare la comprensione del valore aggiunto che tale approccio può davvero apportare a progetti strategici di territori che agiscono in modo cooperativo.
Maria Cristina Demo
AEG Corporation
Tratto da: MAG online, marzo 2020