Il BIM per risolvere le controversie
Il sistema giudiziario civile italiano è caratterizzato, come è noto a chi l’ha conosciuto, da lentezza, incertezza sull’esito delle cause e, solitamente, da un elevato grado di insoddisfazione da parte di tutti i soggetti coinvolti, forse con qualche eccezione da parte degli avvocati e dei periti se adeguatamente remunerati per le proprie prestazioni.
Anche se in alcuni Tribunali la situazione rispetto a qualche anno fa risulta decisamente migliorata in termini di tempistiche, tuttavia permane un’alea fin troppo elevata sui risultati a cui può portare un’azione giudiziaria, indipendentemente dal fatto che si abbia o meno ragione.
Prova ne sia che molto spesso si sente dire dagli avvocati ai propri clienti “meglio una cattiva transazione che una buona sentenza”. In altre parole, meglio avere oggi la certezza del risultato conseguito in via stragiudiziale, anche se può comportare qualche rinuncia, piuttosto che aspettare anni per una sentenza definitiva anche se favorevole.
Ed invero si sente spesso parlare dei vari gradi di giudizio che caratterizzano l’ordinamento italiano prima di addivenire ad una sentenza definitiva, ovvero, per usare la terminologia tecnica, “passata in giudicato”.
Il passaggio in giudicato di una sentenza avviene quando la stessa non può più essere sindacata. L’art. 324 del Codice di Procedura Civile (c.p.c.) statuisce che: “si intende passata in giudicato la sentenza che non è più soggetta né a regolamento di competenza, né ad appello, né a ricorso per cassazione, né a revocazione per i motivi di cui ai numeri 4 e 5 dell’articolo 395 c.p.c.”.
Normalmente tale momento coincide, dopo anni, con la pronuncia della Suprema Corte di Cassazione. Il condizionale però è d’obbligo.
Ed invero, non è raro che la Cassazione verifichi che nei giudizi precedenti al suo interessamento i Giudici che l’hanno preceduta non abbiano correttamente operato, portando il Giudice Supremo a decidere per un rinvio della causa ad uno dei gradi precedenti. In tal caso la trafila può ricominciare.
Come sopra accennato perché una causa ordinaria arrivi avanti alla Suprema Corte ci vogliono solitamente diversi anni. Va da sé che nel mondo delle imprese ciò significa incertezza nei guadagni e nella soddisfazione dei propri diritti. Gli imprenditori ben lo sanno.
Per ottenere una pronuncia per risarcimento dei danni patiti nell’esecuzione di un contratto, ovvero sul diritto o meno ad un pagamento, salvo poche eccezioni, ci vogliono tempi estremamente lunghi e occorre affrontare dei costi in molti casi rilevanti anche quando si ottiene ragione.
Solitamente un’azione giudiziaria prevede esborsi molteplici: es. i costi del proprio avvocato, del contributo unificato per poter adire il tribunale, l’imposta di registro, etc.
Quindi, tempi e costi sono le due voci più significative che occorre mettere in conto prima di decidere se iniziare o meno una causa.
Tempistiche per arrivare alla conclusione del giudizio che, ci insegna l’attuale esperienza emergenziale dovuta al Covid-19, possono allungarsi in qualsiasi momento per cause imprevedibili.
Esempio recentissimo, appunto, è il decreto legge n. 11 dell’8 marzo 2020, rubricato “Misure straordinarie ed urgenti per contrastare l’emergenza epidemiologica da COVID-19 e contenere gli effetti negativi sullo svolgimento dell’attività giudiziaria”, che prevede una serie di provvedimenti connessi all’emergenza sanitaria consentendo rinvii e allungamenti ulteriori dei termini processuali.
Sono esentate per ovvi motivi solo le procedure che, per loro natura, hanno esigenze di urgenza ed indifferibilità. Per quanto riguarda ciò che non può essere ricompreso in tali ipotesi, i tempi per la conclusione si allungano ulteriormente.
Per chi ha esigenze di recuperare i propri crediti e ottenere giustizia in tempi celeri, ciò significa che la strada del giudizio civile non è, spesso, quella consigliabile o quanto meno la prima scelta.
Non è raro che nelle more del giudizio (o dei giudizi nel caso in cui la questione non si risolva nell’ambito del primo grado del processo) che la controparte divenga non più aggredibile o utilmente aggredibile o, peggio, che lo stesso creditore venga meno. Si pensi al caso del fallimento.
Tutto quanto sopra descritto ha il solo scopo di focalizzare l’attenzione su quella che è la situazione generale nel sistema Italia per quanto attiene alla giustizia avanti ai tribunali civili, quindi senza pretese di esaustività nella trattazione (discorso a parte meriterebbero infatti la giustizia amministrativa e la possibilità di ricorrere alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea) ma al fine di giustificare la seguente conclusione: prevenire è meglio che curare.
In altre parole occorre, laddove possibile, evitare per ragioni di certezza e celerità di far ricorso ai tradizionali sistemi della giustizia civile avanti ai tribunali se si vuole avere certezza dei risultati in tempi rapidi.
Tale obiettivo può essere perseguito prevedendo nei contratti il ricorso a metodi alternativi di risoluzione delle controversie quali arbitrati e mediazioni.
L’approccio BIM è caratterizzato dalla collaborazione di tutti i soggetti che intervengono nell’esecuzione del contratto (vedi MAG n.1 e n.4) e ne consegue che tale approccio collaborativo possa dare il massimo laddove si sposi tale filosofia anche per la risoluzione delle conflittualità tra le parti nell’esecuzione del contratto.
La natura conflittuale del procedimento giudiziale, infatti, ha spesso come risultato quello di paralizzare o, peggio, vanificare qualsiasi possibilità di recuperare il rapporto tra le parti anche laddove non completamente compromesso.
Nel caso di un “contratto BIM” la collaborazione è fondamentale e tale aspetto deve essere tenuto in debita considerazione nella sua costruzione, con la previsione di specifiche clausole che vadano nel senso di una possibile risoluzione delle controversie mediante un dialogo collaborativo.
Ciò significa che nel caso di un “contratto BIM” potrebbe risultare utile e interessante sposare tale filosofia anche nella redazione dei contratti, prevedendo metodi alternativi alla risoluzione delle controversie o, meglio, l’esperimento di previ tentativi di conciliazione in caso di conflitti.
Naturalmente un simile approccio comporta un cambio radicale di mentalità nel nostro ordinamento, che deve coinvolgere anche i professionisti chiamati alla consulenza legale, in sede di redazione dei vari contratti, perché contemplino un atteggiamento di tipo collaborativo e non conflittuale nella redazione dei documenti e nella previsione delle soluzioni in caso di conflitti.
Tale atteggiamento dei professionisti della consulenza legale dovrà essere collaborativo soprattutto laddove si verifichi il motivo di conflitto, sposando il dialogo tra le parti e non lo scontro, soprattutto evitando di portare sin da subito lo scontro nell’area di giudizio dei tribunali civili per le suddette già rappresentate problematiche in tema di costi, tempi e incertezza dei risultati.
Se tale introduzione di clausole “collaborative” per la risoluzione degli eventuali conflitti potrebbe essere contemplato e sperimentato sin da subito in un “appalto BIM” tra privati (laddove maggiore è la libertà nella determinazione del contenuto dell’eventuale “contratto BIM”) più difficile appare che ciò accada laddove il committente sia una pubblica amministrazione, per sua natura vincolata in materia di contratti pubblici a norme spesso in contrasto con il concetto di collaborazione.
In entrambi i casi, comunque, la conclusione è la medesima, calandosi nel contesto italiano: è meglio operare sin da subito con un atteggiamento collaborativo, prevedendo a livello contrattuale soluzioni che favoriscano il dialogo in sede stragiudiziale in caso di conflitti tra le parti.
Ciò comporta, però, che i professionisti prescelti per la consulenza, sia nell’ambito della redazione dei contratti che nelle eventuali fasi di conflitto, per avere maggiori possibilità di successo in via stragiudiziale siano predisposti al dialogo e alla conciliazione. Il risultato massimo, come ovvio, si potrà raggiungere quando entrambe le parti saranno predisposte sin dall’inizio a tale atteggiamento di dialogo e conciliazione.
Ed invero, finire nel vortice dell’indeterminatezza dei tempi e dei risultati che molto spesso il ricorso alla giustizia civile comporta, come sopra rappresentato, potrebbe rivelarsi controproducente.
Concludendo, nell’ambito del “contratto BIM” l’ideale sarebbe non limitare l’approccio collaborativo alla sola gestione dell’appalto, privato o pubblico che sia, ma spingerla financo alla metodologia prescelta per la gestione degli eventuali conflitti che dovessero presentarsi tra le parti.
Cristian Barutta
Studio legale VBS
Tratto da: MAG online, marzo 2020